“Nelle mani sbagliate l’avanguardia diventa avanspettacolo e basta!”
Giuseppe Rambaldi nasce nel 1972 a Melito Portosalvo, in Calabria, luogo d'origine della madre, ma cresce si forma nell'Emilia paterna, a Ferrara per la precisione, dove si diploma all’Istituto alberghiero, per affrontare i primi servizi nei ristoranti dei vicini Lidi di Comacchio. Dopo il diploma si è spostato più a Nord, prima in Valle d’Aosta, poi alla fine degli anni ’Novanta in Piemonte, per interrompere questo suo peregrinare solo con la chiamata di Davide Scabin ad Almese prima con il Combal e a Rivoli dopo ovvero al Combal.Zero, entrando a far parte di un progetto destinato a rivoluzionare la ristorazione piemontese e italiana.
Ora cucina per sé a Villar Dora, la terza tappa e ha aperto la sua Cucina Rambaldi.
Aprendo la sua cucina e lasciando quella ben più rassicurante di Rivoli Rambaldi ha scelto di darsi un solo obiettivo, per nulla scontato, ovvero cercare e inseguire sempre il buono. Senza orpelli e senza troppe cadute verso l’estetismo imperante in tanta ristorazione contemporanea, ma con la ricerca e la ripresa dei semplici piatti della nostra tradizione.
«Dopo tanti anni a fare alta cucina al Combal 0, non avrei potuto rifare le stesse cose. Sarei stato la brutta copia di Davide Scabin».
Da questa sensazione e dalla consapevolezza di saper cucinare, anche i piatti più complessi quando serve, è venuta la voglia di semplificare, di andare al gusto. Marchesianamente occorreva tornare ad una cucina semplice, togliere e ridurre. Tornare alle cotture lunghe, ma non sempre a bassa temperatura, alle preparazioni espresse, e non solo rifiniture di elementi già preparati.
Il piatto che torna all’ingrediente, all’essenza che fa emergere la sua vera qualità, il ritorno al gusto tradizionale, anche se sembra si perda per strada il segno stilistico di uno chef. Il ritorno alla convivialità vuol dire il confronto con i modelli che tutti hanno; quelli casalinghi, quelli ereditati dalle donne di casa, siano esse nonne o madri, che da sempre hanno cucinato, impiattato. Lo stesso spirito con cui Artusi a fine dell’800 cominciò a girare l’Italia per imprigionare all’interno di un libro, il primo, le ricette che le donne e le famiglie italiane si tramandavano, per provare a trasferire quelle capacità e quei segreti, destinati a perdersi nel passaggio nel tempo.
di Luca Rivelli
“Il mio staff è composto da professionisti altamente qualificati e appassionati che lavorano insieme per offrire un'esperienza culinaria eccezionale ai clienti.”
Tre anni sono passati tra capelletti in brodo e acciughe al verde, formalizzando una cucina di grandissima qualità in chiave certamente più di bistrot che di ristorante gourmet, che tanto abbiamo avuto modo di apprezzare (link articolo) e che ha fatto apprezzare il suo talento e la sua cucina per quello che era nella bontà dei piatti, dall’antipasto al dolce.
Ma che di talento ce ne fosse e che nel dna di Beppe fossero rimaste impresse le spinte anarchiche e sperimentative dei tempi del Combal, era chiaro e piano piano i suoi piatti sono andati dietro alla sua voglia di cambiare.
Ebbene oggi la strada appare delineata, decisa nel tempo corretto per prendere la giusta misura delle proprie prospettive e scegliere sapendo davvero dove andare: non si lascia di certo la cucina di sostanza, quella facilmente comprensibile e non di stretta osservanza alto-gastronomica, ma si aggiunge la voglia di giocare, di sperimentare e di stupire il commensale, che rimane una delle tante gioie straordinarie di sedersi al tavolo di un ristorante. E l’ossobuco con zucca e amaro Petrus ne è una bella dimostrazione.
La Cucina di Rambaldi oggi è così, la rappresentazione di un percorso che spazia dalla creatività alla ricetta della nonna, con la garanzia che tra qualche tempo sarà ancora diversa. Panta Rei.
Aprendo la sua cucina e lasciando quella ben più rassicurante di Rivoli Rambaldi ha scelto di darsi un solo obiettivo, per nulla scontato, ovvero cercare e inseguire sempre il buono. Senza orpelli e senza troppe cadute verso l’estetismo imperante in tanta ristorazione contemporanea, ma con la ricerca e la ripresa dei semplici piatti della nostra tradizione.
«Dopo tanti anni a fare alta cucina al Combal 0, non avrei potuto rifare le stesse cose. Sarei stato la brutta copia di Davide Scabin».
Da questa sensazione e dalla consapevolezza di saper cucinare, anche i piatti più complessi quando serve, è venuta la voglia di semplificare, di andare al gusto. Marchesianamente occorreva tornare ad una cucina semplice, togliere e ridurre. Tornare alle cotture lunghe, ma non sempre a bassa temperatura, alle preparazioni espresse, e non solo rifiniture di elementi già preparati.
Il piatto che torna all’ingrediente, all’essenza che fa emergere la sua vera qualità, il ritorno al gusto tradizionale, anche se sembra si perda per strada il segno stilistico di uno chef. Il ritorno alla convivialità vuol dire il confronto con i modelli che tutti hanno; quelli casalinghi, quelli ereditati dalle donne di casa, siano esse nonne o madri, che da sempre hanno cucinato, impiattato. Lo stesso spirito con cui Artusi a fine dell’800 cominciò a girare l’Italia per imprigionare all’interno di un libro, il primo, le ricette che le donne e le famiglie italiane si tramandavano, per provare a trasferire quelle capacità e quei segreti, destinati a perdersi nel passaggio nel tempo.
di Luca Rivelli